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220 | l’argentina e gli italiani |
debiti e d'imporre gravami al popolo, di reggersi come meglio crede, di ruinare o no le finanze del paese.
Ma il passato può servirci di scuola per l'avvenire. La crisi argentina, per quanto grave, volgerà ad una soluzione; quel Governo — che già ha destinato non lievi fondi per la propaganda all'estero in favore dell'emigrazione — aprirà alla colonizzazione nuovi territorî non ancora sfruttati; la corrente emigratoria si riformerà, e fino ad una nuova crisi le cose cammineranno bene (bene nel senso generale dell'economia pubblica, intendiamoci).
Ebbene, profittiamo di questa sosta per preparare la nostra emigrazione. Facciamo in modo che le illusioni scompaiano dalla fantasia delle nostre masse prima che queste si muovano di casa, prima che la stessa dolorosa e irreparabile realtà laggiù venga con le lacrime più amare a lavar via i loro sogni. Che emigrino, ma emigrino armate e pronte. Che sappiano tutto dall'A alla Zeta, che conoscano il buono e il cattivo, che possano agire con la loro mente e con il loro criterio illuminati dalla piena conoscenza delle cose, che conoscano i sentieri della riuscita e anche i precipizî che li costeggiano, le trappole che vi sono tese, le imboscate preparate. Allora solo avremo un'emigrazione forte, cosciente, utile a sè e alla patria.
In questa santa propaganda sta il nostro primo dovere; ma non basta. Regoliamo la nostra emigrazione. Prima che essa si muova pretendiamo di sapere dove andrà e che lavoro le è riserbato; domandiamo delle garanzie. Se per la colonizzazione d'un nuovo territorio occorrono cinquantamila lavoratori, ci siano note le condizioni del lavoro e le forme di contratto. L'emigrante partendo deve potersi dire, supponiamo: Vado nella tal regione, avrò tanta terra, a questi patti, che mi convengono. Gli emigranti meridionali potranno scegliere le regioni più calde, quelli dell'alta Italia le temperate. Tutto questo non può avvenire laggiù dove gli