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210 l’argentina e gli italiani


delle loro influenze e delle loro relazioni, lo straniero, che non ha nessuno di questi pesi da mettervi, trova la bilancia terribilmente difettosa. Per ridurla normale i rappresentanti del suo paese dovrebbero gravarvi quanto basta con la loro autorità. I nostri rappresentanti parlano seriamente di garanzie costituzionali argentine sulle quali ci si dovrebbe fondare, e partono in ogni questione dal principio che «non deve supporsi un diniego o una violazione di giustizia». Già, come se quella bilancia laggiù andasse bene!

Un diplomatico italiano mi disse un giorno che gli emigranti, per il solo fatto di essere andati laggiù, accettavano tutte le condizioni nelle quali si svolge la vita di quel paese, accettavano la sua giustizia, la sua amministrazione, ecc. Il ragionamento è comodo, ma è falso. Essi, poveretti, non sanno nulla di nulla; essi accettano, come la pecora, per il solo fatto che segue il gregge, accetta la forbice che la tosa o il coltello che la scanna. Ed è così che molti, troppi dei nostri rappresentanti diplomatici sentono la loro missione. È pur vero che chi di loro vuol fare non può.

Non può perchè v’è la consuetudine, v’è il precedente. Un console od un ministro italiano che prendendo a cuore una questione parlasse alto, risoluto, fieramente, non metterebbe troppo pensiero alle autorità locali, le quali potrebbero sempre dire: nella tale occasione analoga a questa si fece così e così, e foste contenti; in questa faremo lo stesso, e dovrete essere contenti. Non può perchè i casi per levare voci di protesta, per invocare a grandi gridi la giustizia sono tali e tanti, che un console coscienzioso, nell’America del Sud, non saprebbe dove cominciare, dove mettersi le mani, se non nei capelli per la disperazione. Non può perchè sa che alle spalle non ha — povero emigrato anche lui — che una ben debole protezione. Il Governo non vuole seccature, non vuole complicazioni; il diplomatico più abile è quello che dà meno noie,