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206 | l’argentina e gli italiani |
fonda sulle garanzie e corre — se può — dall'ufficiale di polizia; se non giova va dal commissario; non basta? e allora protesta presso il «jefe politico»; se l'alto funzionario non gli bada si reca dal ministro della provincia; se il ministro gli nega giustizia si presenta al governatore; il governatore lo manda al diavolo? allora va dal ministro della giustizia del Governo federale; se questi rifiuta di accogliere il reclamo, il poveraccio bussa alla porta del Presidente e gli racconta il fatto. È da notarsi intanto che il regio suddito — per usare il termine burocratico — si sarebbe dovuto trascinare appresso, sempre, i testimonî e i periti, o almeno le perizie, perchè bisogna «fornire a tutte le autorità le prove convincenti dei fatti asseriti». Il Presidente non gli dà retta neanche lui, «ciò non deve supporsi» — dice il nostro console — ma supponiamolo, che la verosimiglianza ci guadagna, e allora il regio suddito — o i suoi discendenti perchè nel frattempo saranno passati tanti anni! — trovandosi in perfetta regola con le emanazioni consolari, ricorre al Console. La cosa è semplicissima; egli non ha che a «provare di avere il possesso attuale della nazionalità italiana e di dimostrare la regolarità della propria situazione di fronte alle leggi italiane»; poi passa a dimostrare che «il reclamo è basato sulla realtà di fatti, i quali debbono perciò essere provati» e fa una breve dissertazione giuridica sul giuridico fondamento. In ultimo non ha che da provare il diniego o la violazione di giustizia — e che sia «patente» — da parte delle supreme autorità locali, e il Console finalmente inizia i passi necessarî per ottenere la riparazione.
Ebbene, tutto questo è una burla feroce in un paese dove la giustizia è quello che è, dove l'abuso e il sopruso sono moneta corrente, e dove il delitto, specialmente se è a danno di stranieri, rimane così spesso impunito. Quale difesa porge l'Italia a quei suoi figli