Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
i coloni | 201 |
è che il cattivo esempio viene dall'alto. Cito fra molti un fatto — che posso documentare — avvenuto recentemente a Yeruà. Il Governo argentino ha venduto dei terreni a coloni italiani, pagamento rateale a dieci anni. Quando mancano gli ultimi pagamenti, gl'incaricati della riscossione si rifiutano di ricevere il denaro per poter così mantenere non definitivo e illegale il possesso. E sapete perchè? Per poter cedere una parte di quelle terre già pagate, sacrosantamente pagate, ad una Compagnia ferroviaria.
Tra errori e frodi, non è esagerato l'asserire che più del sessanta per cento dei contratti di vendita di terre è di validità non accertata. La colonia Cello, la colonia Josefina, la colonia Santarita, sono state pagate interamente due volte; anzi molto di più, perchè nel nuovo pagamento si è tenuto largamente conto dell'aumento del valore.
Non è facile immaginare quale sia questo aumento, talvolta. Il colono prende possesso d'una terra vergine, e la terra ha bisogno di lunghe, pazienti e faticose cure prima di schiudersi alla fecondità. Il colono deve circondarla di recinti, deve costruirvi la casa, scavare i pozzi, tracciare le strade, allevare gli animali da lavoro, dissodare la terra, a più riprese sconvolgerla tutta. Soltanto dopo varî anni egli raccoglie i frutti del suo assiduo lavoro. Nei primi anni le sementi si perdono; i cardi e gli sterpi sotterrati dall'aratro tornano a sollevare i loro steli tenaci fra le zolle, soffocando il frumento; bisogna schiacciarli di nuovo sotto i colpi degli attrezzi campestri, come serpentacci, fino a che si ritirano dai campi coltivati, vinti e dispersi. Ebbene, è proprio in questo momento, quando il colono sta per ritrarre i primi frutti del suo lavoro, che egli — nei casi troppo soventi di mala vendita — si vede scacciato. Egli deve abbandonare la terra «con tutto quanto vi è piantato, edificato e inchiodato» — come è detto nei contratti di vendita. E deve abbandonare