Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
i coloni | 195 |
fiume navigabile il prezzo del trasporto assorbe il valore del prodotto; da lì incomincia la sterminata zona della terra inutile, sulla quale non è possibile che la vita selvaggia, senza contatti con l’umanità, vita che è inaccettabile se ad essa non si dà la speranza di un limite. Vi sono terre non attraversate presentemente da strade ferrate, ma che lo saranno probabilmente. Qui la vita selvaggia è affrontabile, perchè vi è la probabilità di uscirne presto. In fondo tutti questi calcoli di tempo non debbono sorpassare i limiti della vita umana; si ha un bel predire un fulgido, favoloso avvenire nelle età future; questo non ci commuove come la speranza della più modesta agiatezza balenataci nella mente quale compenso al nostro lavoro.
La terra aperta al fecondo lavoro dell’uomo si riduce dunque ad un tredicesimo circa di tutta la terra coltivabile, ad un quarantaduesimo della superficie totale della Repubblica. Orbene, questa terra in massima parte non è più libera, ed ha un costo che la speculazione ha reso esagerato.
Entriamo un poco nel meccanismo della compra-vendita dei terreni. Essi appartengono in grande parte a latifondisti argentini, che sono arrivati al possesso quasi sempre o per diritto di «denuncia» — per il quale si poteva una volta divenire proprietarî delle terre denunciate allo Stato come libere — o più spesso per favoritismi, per compensi di maneggi politici, per regalìa governativa, o magari per nessun diritto. All’epoca della sanguinosa conquista, quando le misere tribù indiane furono spazzate vie dalla Pampa, enormi lotti di terre vennero cedute ai capi dell’armata e agli amici del governo. Queste terre non avevano che un valore minimo, erano pascoli brulli e selvaggi. L’emigrazione nostra, introducendo l’agricoltura, diede loro un ben maggior valore, e la terra divenne in breve oggetto della più sfrenata speculazione, i cui lucrosi compensi pagava e paga il lavoro italiano.