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150 | l’argentina e gli italiani |
non resta che la mano d’opera, la forza motrice. È poco. La mano d’opera è come il vomero dell’aratro che umile e basso si nasconde nel lavoro assiduo e passa ovunque sconvolgendo e fecondando, e che poi non è nulla di fronte al valore della terra e del grano. E poco monta che sia stato forgiato di ferro italiano o di ferro cinese.
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Continuiamo la nostra rivista del lavoro.
La pastorizia — che, dopo l’agricoltura, è la più grande fonte di produzione — ha fatto sorgere altre industrie, per opera sempre d’italiani. A due fabbriche italiane il popolo deve una parte delle sue vestimenta di lana. Un opificio fornisce anche di quei ponchos caratteristici, mezzo mantelli e mezzo scialli, che una volta le donne tessevano nei ranchos solitarî. Due fabbriche italiane trasformano la lana in cappelli, dai più rozzi ai più eleganti, e coprono quasi tutte le teste della Repubblica, anche quelle degli eleganti che non comprano nulla se il negoziante non giura loro che ciò che vende viene direttamente da Parigi.
Le pelli si esportavano semplicemente secche o salate; gl’italiani hanno introdotto l’arte del conciare. La conceria ha fatto sorgere le fabbriche di selle e di scarpe e sono gl’italiani che le hanno create e che vi lavorano.
Sempre troviamo gl’italiani come iniziatori d’industrie, le quali utilizzano ciò che una volta si gettava via, che traggono ricchezze dal niente, che aumentano enormemente la produttività dal paese. Se non hanno un gran posto nelle statistiche dell’esportazione, servono a limitare grandemente l’imposta che l’Argentina