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il lavoro italiano nell’argentina 149


spenti, tante macchine immote, tante officine silenziose.

Altre industrie affini a quella del ferro sono sorte per opera d’italiani: fabbriche di mulini, di bilancie, di oggetti d’ogni metallo. L’industria dei metalli è quasi tutta italiana.

E qui un’osservazione, per dissipare un pregiudizio molto diffuso e dannoso. Le fabbriche e le imprese dovute alla iniziativa e al lavoro italiani non possono chiamarsi italiane che impropriamente, perchè il capitale che ne è l’anima si è formato laggiù, vi è radicato profondamente, è argentino, là si sviluppa e lascia tutti i suoi frutti. Disgraziatamente la mente che ha ideato e diretto il lavoro produttore, e le braccia che lo hanno eseguito, che sono italiane, non possono considerarsi che come apparecchi e macchine di precisione la cui provenienza è indifferente per la nazionalità dell’impresa. È necessario por mente a questo per non cadere in errore nell’apprezzare il valore dal punto di vista nostro, di quanto vado nominando come italiano. Quando si dice opificio, fabbrica, banca, commercio o impresa inglese o tedesca, per esempio, s’intende che il capitale che li anima sta di casa a Londra o ad Amburgo, dove vanno gl’interessi e dove s’accumula la riserva. Quando invece si dice opificio, fabbrica, banca, commercio o impresa italiana, s’intende — salvo qualche rarissima eccezione — che noi in Italia non ci abbiamo a veder niente affatto, ma che solo è nato nel nostro paese l’uomo che ne ha avuto l’idea e il coraggio, la perseveranza e la sapienza d’attuarla.

È il capitale che dà la nazionalità all’impresa.

In tutte quelle industrie che si dicono italiane, perchè fondate, dirette, amministrate e lavorate da italiani, il carattere d’italianità è assolutamente transitorio; dipende spesso dalla vita d’un uomo. A poco a poco, per cessione o per eredità, passano tutte in mani straniere — che spessissimo sono quelle dei figli — e di nostro