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il lavoro italiano nell’argentina 147


italiana, certo tutte sono dovute al lavoro materiale di quelle macchine umane che noi esportiamo gratis. E là ne abbiamo mandato per un valore di forse sette miliardi, se è giusto il calcolo degli americani del nord che attribuiscono ad ogni emigrante il valore di mille dollari.

Se per un miracolo tutto ciò che è prodotto dal lavoro italiano potesse scorgersi, assumesse un colore speciale, rosso, supponiamo, si vedrebbe Buenos Aires tutta intera, dal fiume ai campi dell’ovest, imporporarsi come sotto il riflesso d’un incendio sterminato. Da lì il colore di fuoco serpeggerebbe lungo tutte le ferrovie, lungo i fiumi, accenderebbe i battelli che li percorrono, e le città che toccano, i canali che vanno a irrigare le arse pianure di Cordoba e di Mendoza e di San Juan: si propagherebbe allargandosi per i campi di Santa Fè, di Rosario, di Buenos Aires, di Entre Rio, e giù al sud tingerebbe Bahia Blanca e il suo grande porto militare che il talento italiano ha ideato e braccia italiane hanno costruito. Non una città, non una colonia sfuggirebbero.

Non so se mai si farà una carta geografica che mostri il lavoro dei popoli, come si fanno le carte idrografiche per indicare l’altezza delle pioggie nei differenti paesi, e le carte etnografiche che mostrano le varie razze umane sparse pel mondo. Certo è che su questa carta l’Argentina tutta, dal Chaco alla Terra del Fuoco e dalla Cordigliera delle Ande al Plata, dovrebbe essere dipinta del colore indicato nel margine da queste parole: Lavoro italiano!



L’Argentina non aveva agricoltura prima che i coloni italiani andassero a dissodarne le sconfinate pianure.