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vita mandriana 137


precipitandosi alla caccia. Il bue compie un giro cercando di raggiungere il verde pascolo, e passa vicino a noi, terribile, con la bocca aperta e bavosa, la lingua di traverso, gli occhi sanguigni. Stormiscono gli sterpi sotto i suoi passi pesanti e precipitosi, e lascia dietro di sè tutta una treccia di erbe abbassate e di cardi spezzati, come una valanga nera e ruggente. I gauchos lo rincorrono, curvi sull’arcione. Agitano in aria il lazo che sibila roteando. Il primo laccio è lanciato; si svolge per l’aria come un serpentello lungo e sottile, e cade sulla testa del bue. Ma il nodo scorsoio non ha fatto presa; il bue scuote il capo correndo e si libera. Un secondo laccio parte col grande nodo aperto. Il bue afferrato improvvisamente per il collo si arresta; salta con la schiena ad arco; tempesta la terra con le zampe poderose, mentre dalla gola strozzata dal laccio gli esce un ululato terribile, lungo e lamentoso. Un altro lazo destramente lanciato gli afferra le zampe. Il bue cade agitandosi, si risolleva terribile, ricade. È legato da quelle sottili corde di cuoio come Gulliver dai fili dei lillipuziani. Il furore cede al terrore. Tenta di liberarsi con un ultimo supremo sforzo, e resta in ginocchio, immobile, sbuffante col pelo irto, con la testa bassa sul gran petto ansimante, la bocca bavosa, mandando ad intervalli un muggito disperato che sembra il pianto mostruoso di un gigante vinto.

A questo punto il mio amico mi grida: Guardate, guardate gli altri! e mi accenna le mandrie. Tutti i buoi assistono alla lotta, attenti come gli spettatori d’una plaza de toros. Non ve n’è uno che non guardi. I più lontani sollevano il muso per veder meglio, e lo appoggiano dolcemente sulla groppa del vicino. Qualcuno si fa strada a forza fra i compagni per giungere alla prima fila, e lì si arresta, col collo teso, i grandi occhi fissi, attenti e meditativi. Sotto la selva delle corna sono migliaia d’occhi curiosi, che esprimono