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128 | l’argentina e gli italiani |
che non conoscono ancora la persecuzione e non temono l'uomo, che si allontanano quanto basta per non rimaner schiacciati, che si posano a sciami, come le mosche, sulle pazienti schiene dei buoi e delle pecore per nettare il becco sul pelo lucido o per cercare i semi rimasti fra la lana. Vi è tanta cacciagione che la caccia è quasi sconosciuta. In alcuni luoghi le martinette — specie di pernici — sono uccise dal gaucho a colpi di bastone; il fucile è inutile.
La via correva dritta fra due recinti di filo di ferro, interminabile, grandissima, accidentata, piena di erbe e di sterpi, di viottoli, di fossi, di pozze. Le vie nell'Argentina non sono — quando ci sono — che striscie di campagna, sulle quali è permesso di passare. La vettura al gran trotto dei suoi quattro cavalli tirava dritto su tutte le asperità della via, a urtoni, sobbalzando, inclinandosi dalle parti, dandomi la perfetta illusione di viaggiare sopra un affusto d'artiglieria lanciato alla posizione.
Il vento sollevava la giubba del cochero lasciandomi scorgere il suo grosso coltellaccio gaucho dal manico d'argento cesellato, infilato alla cintura sulle reni, e la rivoltella sul fianco. Ma il mio uomo aveva una faccia bonaria d'indio mansueto che contrastava singolarmente col suo armamento. Si volgeva ogni tanto a darmi delle indicazioni minuziose, pensando forse che più le indicazioni sono minute e più la mancia invece è grossa.
— Este puesto se llama La Bella!
— Perbacco!
— Sí, señor, y aquel humo blanco è un treno della ferrovia del Pacifico.
— Guarda, guarda! E San Jacinto?
— Ci siamo da un'ora sui terreni dell'estancia; San Jacinto è a dodici leghe, señor!