che per una parte insignificante. Vi sono poi i debiti interni dello Stato, e i debiti delle singole provincie, i debiti dei Municipî, che formano un cumulo enorme di passività. Il pagamento degli interessi per i prestiti all’estero, più il pagamento dei dividendi dei capitali stranieri impiegati nel paese, rappresenta un impoverimento che il superavit attivo formato dalla esportazione sull’importazione — circa cinquanta milioni di pesos oro all’anno — non basta a compensare. Poi vi sono le spese ordinarie, enormi, sproporzionate, dato il carattere dell’amministrazione argentina; e vi sono le spese straordinarie; e gli armamenti. L’economia nazionale è caduta in uno stato d’acuta anemia. La produzione non ha trovato più i suoi compensi: i suoi sforzi poderosi sono fiaccati. Il peso delle imposte è divenuto troppo grave; e meno le imposte rendevano per l’impoverimento progressivo, e più sono state ampliate per la necessità dei bilanci. «L’imposta interna è esorbitante — scriveva l’8 di febbraio la Prensa, il più grande giornale argentino — e vi sono regioni da essa rovinate; la massa della popolazione la sente come un carico insopportabile, sempre più pesante». Un sistema di protezionismo feroce ha colpito il commercio, che in nessun posto ha tanto bisogno della libertà massima quanto nei paesi in via di sviluppo. Scemati gl’introiti doganali si è aggiunto una percentuale alle tariffe: si sono create delle tasse d’esportazione. I rimedî sono peggiori del male; si fa dell’empirismo finanziario, il quale non impedisce che le entrate non corrispondano più esattamente alle previsioni. L’impoverimento ha un termometro quasi sicuro nel cambio dell’oro che è salito sopra al 240. Le produzioni sono colpite, il lavoro deprezzato. «Gli uomini i più intraprendenti e animosi non trovano un campo dove applicare le loro iniziative; parrebbe che l’Argentina vigorosa e piena d’energia sia stata trasformata in un paese estenuato, esaurito, avente appena