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114 l’argentina e gli italiani


l’organismo della nazione già spossato, incapace di resistere, e producono danni enormi, come quelle malattie di stagione che non danno che un leggero malessere ai forti, e colpiscono a morte gl’indeboliti. Mi diceva un giorno il governatore Freyre — il quale è salito da poche settimane al Governo di Santa Fè con un programma largo di promesse — che «se ci fosse un buon governo nell’Argentina basterebbero soli tre anni di raccolto sopra cinque per star bene.» Anzi l’eccellente uomo — il quale naturalmente trovava che il suo governo faceva eccezione alla regola — dopo un istante di riflessione ha soggiunto che «due soli anni di buon raccolto ogni cinque sarebbero tuttavia sufficienti alla prosperità del paese.»

In fondo, salvo l’esagerazione ottimista che ogni uomo di governo prova in presenza di un giornalista straniero, egli diceva la verità. Le sciagure argentine vengono dagli uomini e non dal paese. Il paese è ricco.

È ricco; ma potrebbe paragonarsi ad una miniera d’oro in mano a gente inetta e dissipatrice, di una Chartered che sperperi, che amministri in modo disastroso, che sfrutti ciecamente la ricchezza, che faccia dei debiti enormi. Intorno alla miniera d’oro si finirebbe per soffrire la fame. E la fame si soffre ora nell’Argentina.

La responsabilità degli uomini che reggono i destini di quel paese appare più grave ai nostri occhi se si paragona ciò che è l’Argentina oggi a ciò che potrebbe essere; se la tristissima e squallida miseria alla quale centinaia di migliaia di stranieri sono condannati, si pone a confronto delle prosperità che quella terra avrebbe potuto dar loro, in meritato compenso dei sudori e delle virtù che vi hanno prodigato.