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54 davanti a gorizia


Tutto ciò che abbiamo letto di più bello sulla guerra europea, di assalti audaci e veementi, di attacchi alla baionetta attraverso folti reticolati, in una grandine di piombo, non deve più farci invidia. Simili episodi si svolgono normalmente nella nostra guerra. Soldati che non erano mai stati al fuoco hanno trovato semplice e naturale andarci così.

Al primo urto l’esercito si è comportato come se avesse sempre combattuto e sempre vinto; ha dimostrato un istinto di battaglia, una sapienza spontanea della lotta, una natura guerriera. Possedeva inconsapevolmente virtù militari, che solo la pratica della guerra sembrava dovesse infondere. Gli egoismi naturali degl’individui sono scomparsi, la vita delle persone si è fusa in una vita più grande, ogni uomo si è sentito una molecola nel vasto organismo dell’esercito, una goccia d’acqua nell’onda. Vi è un ardore di tutti, un sentimento di tutti, una passione di tutti, un solo volere, un solo cuore. Si è destata subitamente nell’esercito nuovo l’anima antica, la fiera anima della razza foggiatasi nel fulgore lontano di secoli gloriosi. Vengono da lei queste abilità della guerra nella folla italiana. Questo travolgente desiderio di assalto è un’eredità latina, come la lingua.

I sistemi della guerra moderna e la natura del terreno ci costringono però ad un’azione paziente, fatta di scatti calcolati e di attese, di colpi improvvisi e di pressioni lente, un’azione