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46 ai piedi del carso


Sono abitanti che il bombardamento austriaco scaccia da ogni paese, da ogni villaggio, da ogni casolare. L’esercito nostro li aiuta, li protegge, li nutre, e disciplina l’esodo. Dei soldati marciano in testa alle colonne e le fiancheggiano.

Il fuoco è cessato, e quando la carovana arriva nell’ombra delle case si ferma e si riposa. «Avanti, coraggio brava gente — avvertono i soldati — ancora un poco, poi vi ristorerete: qui può succedervi qualche disgrazia!» Delle invettive contro gli austriaci si levano dalla folla. Voci di donna gridano, nell’espressivo dialetto veneto: «Anca qua i ne copa!» — «No i vede che semo poareti? — «Tuto i n’ha tolto anca i toseti e adesso i ne buta zò le case!».

«Calma, calma — ammoniscono bonariamente i soldati. — Tornerete presto a casa!» — «Che el Signor ve scolta!» — rispondono le voci. — «Benedeti vualtri e le mare che v’ha fato!» — E la moltitudine riprende la marcia.

Sono donne, bambini e vecchi, tutto quello che è rimasto del popolo irredento. Carrette di ogni genere trasportano i loro umili bagagli, e sui cumuli dei fagotti e dei sacchi, facendosi ombra con delle vecchie ombrelle aperte, si accalcano i bimbi, gli stanchi, i deboli, in un groviglio multicolore che oscilla alle scosse dei veicoli. Tutti gli altri marciano, gli uomini a parte, due per due, muti, quasi ubbidendo istin-