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ai piedi del carso | 41 |
ria di obici che, portatasi sulla linea della
fanteria, ha battuto in breccia una diga. Era
la diga di Sagrado. Sfondata quella barriera,
l’acqua non si sarebbe più immessa nel canale
e avrebbe ripreso il suo corso normale nel
letto dell’Isonzo. Ma prima che per questo
audace bombardamento l’inondazione, priva
d’alimento, defluisse sgombrando il piano, il
nostro attacco si è gettato sulle terre rimaste
asciutte, più al sud, e per Monfalcone ha preso
piede solidamente sulle prime pendici del
Carso, in vista del mare.
L’acqua ci è stata nemica, per tutto. Le piene, fra le gole del medio Isonzo, ci portavano via i ponti; a valle l’inondazione artificiale creava avanti a noi dei laghi, e il canale, che con le sue diramazioni si va ora essiccando, forniva intanto la forza motrice di impianti elettrici dai quali gli austriaci derivavano correnti per rendere fulminatori certi reticolati di trincea.
Ma gli austriaci avevano dimenticato che la magnifica opera idraulica dei canali di Monfalcone è italiana, studiata e compita dalla Società Italiana per le condotte d’acqua, di Milano. La perfetta conoscenza dei lavori ci ha permesso di correre subito ai ripari e di ricondurre le acque ad un contegno più patriottico.