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verso l’isonzo 27


locale vanno premurose da un vagone all’altro distribuendo bibite ghiacciate. Non si ode un lamento.

La prima cosa che i feriti domandano e d’essere informati della guerra. Hanno sete di notizie. Portati via dall’azione, vogliono sapere quel che è successo dopo, quello che succede altrove. Si direbbe che soffrano più per il distacco dal combattimento che per le ferite ricevute.

«Che cosa si sa oggi?» — chiedono prima di portare alla bocca il bicchiere madido. Buone nuove, Monfalcone è presa!». La voce passa da una cuccetta all’altra. Tutti si sollevano sui gomiti, i meno sofferenti balzano a sedere, è una agitazione sotto le lenzuola candide, delle teste bendate sorgono dai cuscini: «Monfalcone è presa!».

Dei dialoghi brevi s’intrecciano: «Ah, se fossi sicuro d’avere ammazzato un austriaco, non me ne importerebbe della ferita!» — esclama riadagiandosi cautamente uno che ha la spalla fasciata. Dalla cuccetta sopra a lui una voce rauca scende: «Io uno almeno l’ho infilato!» — è un fantaccino che è stato ferito di baionetta alla coscia durante un assalto. Dopo un istante riprende: «Io uno, e lui (additando in altro tettuccio) lui due!».

Qualche esclamazione d’incredulità, o d’invidia, si leva. «Due, due! — ripete la voce. — Era vicino a me. Ci sono i testimoni. Due