Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
sulle pendici del carso | 427 |
mazioni del paesaggio sono avvenute lentamente.
Ma chi arriva nuovo e ignaro, al posto del
Bosco di Ferro di Cavallo vede, un due o tremila
metri lontano, un terreno scosceso rotto e
frastagliato, con dei sassi, e qua e là una lanugine
gialla di rovi secchi e di cespugli bruciacchiati.
Più in alto, la vetta nuda del San Michele,
osservatorio del nemico, che ci scruta.
Il bosco è così scomparso, e vi si scorgono tutte
le nostre trincee, che si tendono ad arco verso la
cima del monte, vicina, quasi raggiunta.
Dopo le battaglie di luglio il nemico aveva insinuato fra i roveti dei piccoli posti, che alla notte lavoravano. Erano sorte così delle trincee, che gli austriaci a poco a poco ampliavano; i piccoli posti erano diventati avanguardie, e le avanguardie si disponevano a trasformarsi in prima linea. Pochi giorni or sono, il 18 settembre, assalimmo il Ferro di Cavallo. Le prime trincee furono occupate di sorpresa; le altre furono espugnate a viva forza. Il nostro bombardamento accecava il San Michele. Dei contrattacchi scesero, ma i nostri hanno acquistato una tale destrezza nell’erigere i ripari, che in pochi minuti una prima rudimentale opera di difesa è pronta. Se l’austriaco ha una passione per lo zaino, il nostro soldato è inseparabile dal suo sacco pieno di terra. Sale all’assalto col suo fardello, e non lo lascia che per scaraventarlo sopra un parapetto di fortuna e sdraiarvisi dietro. È avvenuto anche