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422 sulle pendici del carso


con i piedi ad un palmo dal suolo, le mani avvinte dietro il dorso, e per alcune ore è lasciato così a meditare sulla santità del corredo governativo. Questa venerabile costumanza ha prodotto una indivisibilità mirabile fra il soldato austriaco e il suo bagaglio. Nelle più critiche circostanze, zaino e soldato sanno rimanere insieme. L’uomo può perdere la testa, può perdere la battaglia, può perdere la vita, ma non il sacco. Si assiste talvolta ad atti di eroismo disperato per la riconquista di uno zaino, abbandonato in un momento di fretta imperiosa e imperiale. Dei feriti a morte, agonizzanti quasi, ai quali nella caduta è sfuggito dalle spalle il carico regolamentare, strisciano a riprenderlo, arrivano ad afferrare a fatica una cinghia, la tirano a loro con le ultime forze. E muoiono così nel pensiero di un ideale raggiunto.

Il grande attacco austriaco naturalmente ci portò più avanti. Per ostacolare il nostro consolidamento sulle nuove posizioni, altri attacchi arrivarono il giorno dopo. La nostra ala destra fu alla sua volta investita. Ma il 25 luglio tutta la nostra fronte riprendeva l’offensiva, paziente, tenace e violenta. Mentre l’ala sinistra conquistava quel Bosco Cappuccio che non ha più alberi sui suoi bordi sconvolti, il centro si avvicinava a San Martino del Carso, e la destra espugnava una gran parte del Monte Sei Busi, verso Doberdò, le cui case bianche si