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sulle pendici del carso 417


pertura, ponevano all’abitatore rannicchiato nell’ombra questo semplice dilemma: «Fuori le mani, o spingo!» Venivano fuori le mani. Dopo le mani spuntavano le braccia, e dopo le braccia emergeva il resto di un elegante oberleutenant al completo, pallido ma dignitosamente rassegnato.

Una mattina un capitano austriaco, rimasto inosservato nel suo covo mentre l’assalto passava, tirò un colpo di pistola ad un sergente nostro che seguiva il suo plotone. Il sergente, illeso, si fermò e si guardò intorno. Una seconda palla lo sfiorò. Allora egli vide. Non fece fuoco, rivoltò il fucile, balzò addosso all’ufficiale, lo tramortì con un colpo di calcio, se lo caricò sulle spalle e lo portò giù, al posto di medicazione. Qui, alle prime cure il capitano austriaco rinvenne, e andò su tutte le furie. Smaniava, mostrava i pugni al sergente, che lo guardava sbalordito da dietro le spalle dei medici, rotava gli occhi e bestemmiava, in tedesco. Non era furioso per essere stato fatto prigioniero, o per avere perduto la posizione. La causa della sua ira era più grave: «È la prima volta — gridava — la prima volta nella mia vita che manco un uomo al secondo colpo!» Il sergente fece un passo avanti, salutò cerimoniosamente e gli disse: «La ringrazio tanto per la eccezione!» E se ne andò fischiettando.