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406 sulle pendici del carso


messa lì i soldati, per la fotografia. Avere il proprio ritratto in nobile posa seduto dentro ad una buca di granata, è l’aspirazione artistica d’ogni milite che passa. Il punto è molto esposto al fuoco, ma la tentazione è grande, la sedia è pronta, macchine fotografiche non mancano mai, e la fotografia si riproduce con modelli diversi.


Una granata da 305 ha massacrato la cattedrale. Dall’esterno la chiesa pare intatta. Ma non ha più tetto, e dentro è una confusione immane di travi cadute, di colonne crollate, di arredi sacri frantumati e sparpagliati, di macerie irriconoscibili, sulla quale scende la piena luce del giorno. Le rovine sono più grandi verso il fiume, al quale si scende rasentando i giardini pubblici devastati, con degli alberi stroncati dai colpi, e delle scritte che dicono: «La tutela delle piante e dei fiori è affidata al pubblico».

Dalla riva dell’Isonzo si vedono distintamente le posizioni che tendono alla vetta del San Michele. Il Carso, che da lontano sembra un gradino regolare ed eguale, appare allora tormentato e vario. È un’immensa scogliera, che si corrode, che si sfa qua e là, che raccoglie nelle sue cavità detriti e terriccio sui quali le vegetazioni si affollano, che ha boschi e prati formatisi sulle frane dei suoi fianchi appena coperti da lievi sedimenti coltivabili, ma