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392 sull'isonzo e sul carso


fuoco erano minime. Ma la situazione appariva delle più disperate, con un esercito di fronte e un fiume inguadabile alle spalle. Le teste dei soldati rannicchiati erano rasentate da raffiche di piombo; l’Isonzo s’impennacchiava tutto di spruzzi. Ogni speranza era nella baionetta; si aspettava l’attacco per slanciarsi fuori all’assalto.

Alla sera gli austriaci debbono aver supposto che non ci fosse rimasto un solo uomo vivo laggiù. Cessarono il fuoco e andarono a dormire. Nella notte calma ed oscura si riudì allora il tonfo lieve dei remi sul fruscìo gorgogliante delle acque. Ricominciò il traghetto sui due bracci dell’Isonzo. Mentre si ritiravano gli uomini, i pontieri lavoravano al ricupero del materiale, immersi nell’acqua, seminudi, salvando tutto quello che si poteva salvare del ponte distrutto.


Sull’isolotto erano rimasti senza ricovero sotto al fuoco terribile quattrocento uomini, con il comandante del secondo battaglione di avanguardia. Pareva dovessere essere annientati. L’isola non ha un rilievo, non un macigno, non un ciuffo d’erba, è una spianata grigia, scoperta, sulla quale si distingue un uomo da dieci chilometri. Sotto al fumo degli shrapnells si vedevano con angoscia, dalla riva destra, centinaia di corpi distesi e immobili, dei cadaveri certamente su tutto l’isolotto. La notizia di un