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la conquista della conca di plezzo 321


trarono i loro nascondigli già pieni di armi, di munizioni, di viveri.

Per provocare una diversione, il giorno dopo delle forze rilevanti austriache salite da Tolmino attaccavano le nostre posizioni sotto alla vetta del Mrzli. Si voleva stornare l’azione da Plezzo riaccendendola sulle propaggini meridionali del Monte Nero. Era una cinerea giornata di nebbia lassù. Abbiamo descritto quelle posizioni come si vedono dalle alture di Colovrat. Sulla cima del Mrzli, pianeggiante, una formidabile trincea austriaca, il cui reticolato è intessuto intorno ai tronchi bruciacchiati di un lembo di foresta che il cannone ha distrutto; un poco più sotto, a poche decine di metri, il bosco rinverdisce e rinfoltisce, e lì, fra gli alberi, i nostri. L’attacco nemico è stato respinto, senza vederlo, nella nebbia densa.

Gli austriaci richiamavano rinforzi verso Plezzo. Un urto di masse era imminente. Dai nostri osservatorî più alti si potevano scorgere colonne di truppe e di carreggi che scendevano dal Predil. La nostra grossa artiglieria, l’8 settembre, arrivava a fermare e disperdere due di questi ammassamenti in marcia. Nella notte del 10 il nemico tentava un ultimo attacco per liberare la sua sinistra, dove noi avevamo cominciato a stabilirci sulle balze dello Javorcek. È ancora nel vallone dello Slatenik che si combatte. I nostri ripetono la tattica usata contro il battaglione ungherese sulla te-