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monte nero 303


colato in comune che serve per tutti e due. Quando il tempo è limpido, si scorge anche da lontano, sul contorno cupo delle rocce, la selva minuta, regolare e folta dei paletti, in una impercettibile nebbia di fili, fra la rossastra confusione del pietrame scavato.

Ma qui la lotta ora sosta. Qualche cannonata solitaria, la nube di uno scoppio qua e là, di tanto in tanto, e lunghe ore di silenzio profondo. Di fronte al Monte Nero la vallata dell’Isonzo, tutta boscosa, variopinta da un primo ingiallire di foglie, cosparsa di villaggi minuti e chiari giù vicino al fiume, rigata da fili bianchi di strade deserte, è tutta piena della maestà d’un riposo. Dove sono le truppe? Non si vede nessuno. I villaggi sembrano solitari. E queste zone non furono mai abitate come ora, non contennero mai tanta moltitudine umana.

Dove noi sappiamo che gli eserciti si addensano, non si vedono che delle linee sottili di terriccio, che sembrano bordi di fossati, e confusioni strane di sterro. Se ne scoprono una dopo l’altra a centinaia di quelle rigature fulve, che ondeggiano in ogni senso, corrono le vette e i dorsi delle colline, solcano il verde dei prati, scendono i costoni, si moltiplicano, s’intrecciano, s’intersecano, si scostano, si ritrovano, e questo senza fine, ovunque lo sguardo frughi. Bisogna che degli ufficiali vi indichino quali sono le nostre trincee e quali le