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monte nero 297


mai tutta la costa del loro affollamento. Quattrocento metri: silenzio....

Nelle feritoie delle trincee italiane tutti i fucili erano spianati.

Con voce pacata il capitano ripeteva i suoi ordini; «Tutto l’alzo abbattuto! — Attenti a mirare basso! — Siate pronti!». Immobili, impetrati, i soldati puntavano, la testa inclinata, sul calcio del fucile. La terra, intorno, era cosparsa di pezzi di cartone, avanzi delle grige scatole di munizioni aperte e vuotate. Ognuno aveva preparato presso a sè un mucchio di caricatori. Inginocchiati vicino alle mitragliatrici i serventi aspettavano pronti con le cinghie di ricambio, e il puntatore, le dita attanagliate alle maniglie, sfiorava con il pollice la molla di scatto. «Pareva — racconta un ufficiale — un museo di statue».

Trascorse ancora quasi un minuto, una eternità. Si distinguevano già le facce accese dei nemici con le bocche aperte, in un balenìo di baionette. Il capitano non aveva più bisogno del binocolo per guardare; fissava l’assalto con occhio grave, freddo, calcolatore. Poi con una parola scatenò la morte: Fuoco! L’assalto era arrivato a meno di trecento metri.

Una scrosciante bufera di piombo rasentò i declivî. Parve che una falce immensa e invisibile passasse e ripassasse su quel mobile e tumultuoso campo azzurrastro d’uniformi. Le prime file caddero, si abbatterono di colpo.