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zo circa oltre la nostra estrema posizione, discese sul versante occidentale del monte, e volse al sud per compiere il suo avvolgimento. La manovra avviluppante era per due terzi eseguita. Non v’era che un piccolo ostacolo da superare per condurla alla fine. Una magra compagnia italiana sbarrava la strada a Za Kraju, fra il massiccio del Monte Nero e quello del Polonnix.

Era trincerata sopra ad un’altura, senza reticolati, senza blindature, con dei bassi parapetti tirati su in fretta e furia. La mattina era già inoltrata quando il battaglione ungherese incominciò l’attacco.

Avanzava con ordine e risoluzione, in varî ranghi aperti e regolari. Nessun colpo di fucile lo accolse. Fu presto a mille metri dai nostri: il silenzio continuava. La posizione pareva deserta. Rinfrancati, i nemici salivano come in manovra. Forse essi immaginavano gl’italiani già fuggiti. Una quiete profonda e terribile.

La distanza diminuiva. Ottocento metri: silenzio. Seicento metri: silenzio. A mano a mano che si avvicinavano, salendo da una base verso una vetta, le schiere nemiche andavano forzatamente serrandosi. Gli spazî sparivano; le linee di assalto, dapprima distese in catena, restringevano gl’intervalli, cominciavano a formare massa. Cinquecento metri: silenzio. Si levò il vocìo degli assalitori, che coprivano or-