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tendeva ad isolare la vetta del monte. Vi impegnava il massimo degli effettivi che la guerra di montagna consenta.

Tentò azioni di sorpresa, ora con due, ora con tre battaglioni. Il 10 giugno lanciò più di sei battaglioni con una ventina di mitragliatrici, per un vallone che sale da Plezzo verso il declivio occidentale del Monte Nero, il vallone dello Slatenik. Alpini e bersaglieri fecero miracoli, con reparti piccoli e risoluti scesero a sbarrare il passo all’avanzata austriaca. La lotta fu lunga, ma l’aggiramento fu sventato. Per consolidare le nostre posizioni fu necessaria la conquista di nuovi punti d’appoggio verso il nord. Da quel momento l’azione nostra comincia risolutamente ad avere Plezzo come obbiettivo.

Plezzo, posto in una conca alla confluenza di valli, ad un nodo di strade, centro di comunicazioni, ci minacciava. Da Plezzo salivano gli attacchi del nemico. Stazione di rifornimenti, base di operazioni, Plezzo riceveva per la via del Predil, al nord, e per la via dell’alto Isonzo, a levante, le truppe e i cannoni che ridistribuiva poi per i valloni risalenti verso le coste del Monte Nero. Prendere Plezzo voleva dire bloccare agli austriaci le più importanti vie di approccio di quel settore, chiuder loro delle porte. La nostra offensiva, che aveva cominciato col dirigersi quasi esclusivamente al sud, per cooperare alle operazioni