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monte nero 289


di fortuna era già ricostruito sul torbido, largo e vorticoso corso della piena. Passarono le munizioni, passarono i rincalzi. L’occupazione era già quasi ai piedi del picco più alto. Il primo di giugno la punta era conquistata.


Non fu un colpo di sorpresa, questa volta; fu un colpo di manovra. La compagnia austriaca che difendeva l’estrema cima quasi inaccessibile, il naso della montagna, vigilava e combattè. Bisognava appunto che si battesse, per la riuscita del nostro piano. È stata questa una delle battaglie più belle e più singolari della guerra.

Fu in una notte oscura e nuvolosa. Non si poteva sperare di scalare la vetta senza svegliare l’allarme. Si profittò allora dell’allarme. Due spedizioni partirono da una specie di tormentato pianoro roccioso sul quale eravamo trincerati, seicento metri più in basso della cresta. Un piccolo reparto, composto dei più abili scalatori, munito di corde, si diresse verso il fianco settentrionale del picco, cioè, per esser chiari, verso la narice del naso mostruoso, dove la parete precipita quasi a piombo. Un reparto più numeroso si diresse dalla parte meridionale, per ascendere il pendìo più accessibile, il dorso del naso. Era questo il lato meglio difeso e più vegliato dal nemico.

È un lungo piano inclinato, eguale ma scosceso, coperto in parte di erbette tenaci che ora