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il passo di montecroce 283


Tutti questi detriti sibilanti che sprazzano via e si disperdono dalle vette in battaglia, tutte queste molecole di violenza che irradiano follemente dalle posizioni, fanno pensare alle faville lanciate da un’incudine gigante percossa dal veemente maglio della guerra.

Quando ridiscendevamo dal Freikofel, sul quale la calma superba e sicura dei nostri dà alla vita una così meravigliosa apparenza di normalità, il cannoneggiamento non aveva più l’intensità di prima. Gli austriaci se la prendevano nuovamente con le retrovie, che delle grosse granate cercavano. Forse il nemico immaginava chi sa quale accorrere di rinforzi.

In una radura del bosco, sotto alle rocce del Pal Piccolo, alcuni soldati lavoravano di zappa; erano seppellitori. Intorno a loro dei cadaveri aspettavano che la fossa fosse pronta, distesi nelle barelle, una rozza croce di verdi ramoscelli di pino posata sul petto insanguinato. Un soldato è caduto ferito poco lontano, ed è rimasto lì, accoccolato, aspettando, senza un lamento.

Le esplosioni nella selva lasciavano un’agitazione di piante; si vedevano lunghe rame di abeti squassarsi con una specie di divincolamento lungo, fra le spire del fumo, come per un disperato tentativo di fuga. I rari soldati che passavano nelle vicinanze non allungavano il passo, non guardavano nemmeno, e il loro volto