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il passo di montecroce | 273 |
to, si faceva vicino ma senza direzione, ingigantito
dalle sonorità degli echi. Poi, improvvisamente,
uno schianto di folgore, un contraccolpo
di vento, un roteare lento in aria di tronchi d’albero sradicati dal ciglione d’una roccia
e lanciati in alto, un frullare di pietre tutto
intorno a noi, di schegge, di frammenti, con
un picchiettare violento di sassaiuola sulle piante
e sul sentiero, e un fumo giallo, pesante,
acre, si è sparso a piccoli turbini e ci ha
velati.
Bianca, gigantesca, precipitosa, una vetta ci appariva vicina, alla fine del canalone, una rocca luminosa nello sfolgorìo del sole: il Pal Grande.
Pochi minuti dopo, inerpicati sulle basi delle sue pareti, contemplavamo la bellezza orrenda di questo grandioso e selvaggio campo di battaglia. La via dalla quale eravamo saliti non era più che una specie di spaccatura in basso, piena di ombra e di un arruffìo di boscaglia, al quale ogni tanto s’invischiava la nube sinistra di una granata. Il Pizzo di Timau vicinissimo, a levante, tutto in ombra, azzurrastro, piombava le sue vertiginose pareti a picco quasi nei ghiaioni del Pal Grande. A ponente la cupola scabrosa e tormentata del Freikofel, lontana meno di un tiro di fucile. Più in là, le rocce cineree del Pal Piccolo che sostengono un pianoro con vestigia di verde.