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260 dove il combattimento non ha soste


da una fucilata a bruciapelo, tirata da qualche nascondiglio. Non era stato nominato per quell’impresa. Aveva protestato perchè non l’avevano incluso nella lista. «Sior capitano mi go più diritto dei altri!» — aveva detto alla sera, tutto commosso come sotto ad un’ingiuria. — «Me speta!».

Era un soldato straordinario. Quando vedeva il suo capitano partire solo in ricognizione, borbottava: «Eco sto mato che busca de farse copar!» — E gli dava dei consigli: «No se fida de mi? Perchè no me manda mi a guardar, che se lo copan a el, che femo nualtri?» — Il capitano fingeva di non udire, e allora il bravo alpino pigliava il fucile, si affibbiava le giberne, e dopo aver mormorato un affettuoso e irriverente «andmoghe drio, el xè mato da legar!», lo seguiva per tutto, passo passo, come un cane, devotamente, pronto a fargli scudo del suo corpo ad ogni frusciare di fronde. L’ufficiale lo ha pianto.

Per tre giorni sul Freikofel è stata una alternativa di bombardamenti e di mischie alla baionetta. Quando il nemico credeva di aver spazzato la vetta a colpi di cannone, avanzava la sua fanteria. Improvvisamente era fra le pietre un brulichìo di grigio, un lungo urlo possente, i nostri balzavano su, rioccupavano la cima, facevano dei prigionieri, rigettavano l’assalto. Il bombardamento ricominciava. Si resisteva un’ora, due, tre, poi bisognava cedere,