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la lotta dei colossi | 247 |
ti: «Indietro, via! Volete andarvene?» — hanno
comandato. I soldati si sono dispersi come
delle formiche fra le quali sia caduto un fiammifero
acceso. E allora si sono visti nello spazio
vuoto due strani tipi, stracciati, vestiti di
una tunica irriconoscibile, una specie di camiciotto
di tela sporca, con dei grossi stivali
deformati, impolverati e rotti, la testa coperta
da un largo berretto a piatto con la fascia rossastra.
Giovanissimi, imberbi quasi, magri, pallidi, macilenti, uno basso, uno alto, con delle grosse mani scarnite che si muovevano in gesti disordinati. La loro faccia esotica, dagli zigomi sporgenti e gli occhi asiatici, era tagliata dal largo sorriso di una felicità piena, il quale scopriva dei grandi denti bianchi. Erano russi fuggiti alla prigionia austriaca.
Costretti a fare trincee contro di noi, erano riusciti a separarsi dai loro compagni, e marciando di notte, nascondendosi al giorno, mangiando non si sa come, vivendo così per una settimana una vita da bestie cacciate, erano arrivati ai nostri avamposti.
Ogni tanto li prendeva un impeto di allegrezza, li sollevava un’onda di gioia; agitando i berretti urlavano: «Viva Italia! Viva, viva, viva!» — e i loro poveri grossi piedi stanchi accennavano pesantemente a passi di danza, una di quelle danze slave che si snodano intorno al fuoco dei bivacchi cosacchi, accompa-