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la lotta dei colossi 243


campana. Manda un suono da campanaccio da armento, un suono di pace.

Più in basso, al coperto, dove comincia il bosco e si annida fra i macigni il primo posto di medicazione, i soldati hanno eretto un baldacchino alto: quattro tronchi per colonne, una cuspide di fronde, una croce sulla punta. Una grossa pietra rozzamente spianata biancheggia sotto al baldacchino, al quale si sale per una specie di grandiosa scalea di rocce. È l’altare. Alla domenica il cappellano vi dice la messa; in giro sui dirupi e fra gli alberi si accalca la soldatesca immobile, silenziosa e grave; il cannone romba lontano, e in alto, sulle trincee, lo shrapnell tintinna sul suo minuscolo campanile.


Gli austriaci non avevano preveduto la possibilità di portare delle artiglierie pesanti sulle balze della Val Dogna. Non immaginavano che la montagna potesse in poche settimane venir solcata, tagliata e ascesa da strade ruotabili di una fantastica arditezza. Vi erano solo dei sentieri da cacciatori e da contrabbandieri. Nei primi tempi della guerra ogni carovana, ogni salmeria che s’inerpicava sulla valle perdeva qualche mulo. Il terreno si sfaldava, lembi di sentiero franavano, e le più solide bestie da soma spesso scivolavano nei passi angusti e scoscesi, perdevano piede, si dibattevano per un istante annaspando convulse con