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la lotta dei colossi | 241 |
lo, un alpino atletico, che correva impetuosamente
verso le trincee piene di austriaci, intimando
la resa, a gran voce.
La intimava in tedesco. Era uno di quei pazienti, forti e parchi emigratori friulani che la miseria spingeva oltre le frontiere a vivere di duro lavoro, trattati come esseri inferiori, come bestie da fatica dall’insolenza germanica. Aveva sofferto ogni umiliazione, l’oscuro polentafresser ma non l’aveva dimenticata. Era arrivato il suo momento. Aveva lui il comando ora: «Fuori tutti! Giù le armi! Arrendetevi!» Egli era la Vittoria.
E prima che gli altri assalitori sopraggiungessero, avanti a quell’uomo solo, decine e decine di austriaci sbucavano fuori, pallidi e inermi, con le mani levate. Da ogni uscita i prigionieri emergevano, a uno a uno, con delle facce attonite e convulse. Furono presi centoventi soldati prigionieri e sette ufficiali. Oltre cento cadaveri nemici insanguinavano i cunicoli delle trincee. Il bombardamento aveva inebetito gli austriaci. Alcuni dovevano essere sorretti. Erano tutti sbalorditi e inerti.
Mentre la lenta carovana dei vinti cominciava a scendere dalle alture, il nostro cannoneggiamento riprendeva, battendo più lontano della Forcella. Sbarrava il passo ai contrattacchi. Si combatteva anche più a ponente, ma si trattava di una nostra finta. Preparando l’assalto del Cianalòt, un’azione accennava a