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la lotta dei colossi 239


il sentiero. Parlando di monti e di vallate si conferisce un’idea di grandiosità e di distanza, ma qui, questi pizzi e queste cime intorno al passo sono a portata di voce. I nostri soldati avrebbero potuto dall’alto scagliar dei sassi nelle posizioni nemiche. Ma le posizioni nemiche erano costituite da trinceramenti in cemento armato, inattaccabili, precedute dal solido tessuto dei reticolati.

Gli austriaci stavano tranquilli là dentro. Erano invulnerabili. Nè i fucili nè i cannoni da montagna e da campagna potevano far loro alcun danno. Non rispondevano nemmeno al fuoco dei nostri che li dominavano inutilmente. Chiusi nella loro corazza, erano come il riccio sotto al naso del mastino. Assalirli era impossibile senza aver prima demolito le loro difese con l’artiglieria pesante, e gli austriaci, i quali sapevano bene che la valle angusta e dirupata non aveva strade, si sentivano perfettamente al sicuro dai grossi pezzi. Diamine, i cannoni da assedio non volano.

Ma una mattina, alle sette precise, li sorprese un’esplosione terribile. Fu il 30 di luglio. Una di quelle formidabili granate che sembrano bolidi era scoppiata avanti alle trincee. Non ebbero il tempo di riaversi. Dopo alcuni colpi di sistemazione, il bombardamento si fece serrato, intenso, spaventoso. Il fragore delle detonazioni assunse una continuità sconvolgente, era una catena di folgori, e la Forcella del