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la lotta dei colossi 227


combattimento, spostandosi adagio adagio, e nel suo moto solenne pare di scorgere una non so quale truce e subdola cautela.

Un carrello sospinto su rotaie porta il proiettile dal deposito blindato delle munizioni. La granata, alta come un fanciullo, è sollevata dall’argano, scivola nella culla di ottone del caricatolo, la culatta si chiude sul sacco della polvere che ha seguito il proiettile nella camera di scoppio, dalla quale per un istante si è intravvista la vorticosa e scintillante raggera delle rigature. Uno scatto di molla. Il colpo è pronto. Tutto questo avviene come un meccanico lavoro da opificio. I soldati rimangono in piedi sulle piattaforme di acciaio che l’affusto sporge. I serventi sono come inerpicati sul colosso.

Al colpo la gran mole del cannone passa veemente fra loro, spinta indietro dalla forza impetuosa del rinculo, e torna al posto ricondotta dalla elasticità dei freni. Una buffata violenta e ardente fa sventolare i lembi dei cappotti. La terra ha un sobbalzo. Nei greti è un rotolare di sassi e uno scorrere di sabbie. Le travature delle case hanno scricchiolato nel villaggio vicino come ad una scossa di terremoto; le porte squassate hanno risuonato cupamente e le finestre mal chiuse si sono spalancate alla sorda percossa della raffica breve.

Gli artiglieri, immobili, afferrati ai montanti, gli occhi riparati dall’ombra della mano