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220 | nella valle di sexten |
approccio è barrato da larghi reticolati. È avvenuto
che si sia riuscito ad aprire un varco
nel primo reticolato, poi nel secondo. Nella luce
dei proiettori, strisciando sotto al fuoco intenso,
inerpicandosi da masso a masso, i nostri sono
arrivati alla trincea principale. Ma sul parapetto
stesso c’è un ultimo reticolato che bisognerebbe
distruggere, a due metri dalle canne dei
fucili nemici.
Quando la ricognizione arriva alla mèta, è già l’alba. Nessuno può più ritirarsi allo scoperto. E i nostri rimangono là, fra le pietre, a qualche passo dai nemici, che li sentono ma non osano uscire. Sparano e sparano, gli austriaci, con quel fuoco a scatti che ridice l’agitazione e l’ansia. Le mitragliatrici martellano l’invisibile. I nostri si aggrampano immobili, lambiti da una rete di sibili. È un inferno. Le palle di rimbalzo sono le più terribili perchè arrivano non si sa da dove. Qualche corpo rotola giù per il ghiaione. Chi è ferito precipita. Dall’altra parte del monte si svegliano i corti mortai austriaci, di un modello studiato per questi terreni, e le grosse granate passano sulla cresta, portando fino ai tremila metri il loro fuggitivo e lacerante lamento, per ricadere al di qua, cercando a caso il terribile assalitore, Ma la notte ritorna e gli esploratori ridiscendono nel buio, portando il tesoro della loro esperienza.
Non c’è più un abisso dal quale gli austriaci