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nella valle di sexten 217


L’attacco è facile per gli austriaci e difficile per noi. Essi possono difendere la vetta con qualche uomo e assalirla con molti, bassa, sull’estrema punta, come sulla cima della Prima Tofana, non vi è che un minuscolo plotone e una mitragliatrice, alla quale hanno fatto con del cemento una cupola blindata. Tutte le cime vicine sono nostre. Noi li avremo assediandoli. Ma intanto guardano, ed essi sono l’occhio di batterie rincantucciate fra le pendici dell’Inner Gsell, nelle vicanze di Sexten.

A destra del Seikofel boscoso, poco più lontano, un’altura nuda, rossastra, dalla vetta lacerata dalle granate; è il Rotheck. Nel nome di Rotheck c’è la parola «rosso». La montagna brulla si distingue infatti per quel suo colore ardente, per quella sua strana vetta sanguinante sulla quale il nemico si trincera. Di fronte a lei, assai più vicino, il Quaternà nostro, alto, scosceso, fulvo, dominante, che a sinistra porta le nostre posizioni a congiungersi per ondulazioni di declivi al Seikofel, e a destra le conduce verso le cime del Palombino, altra vetta di frontiera che ci dà il comando di valichi minori.

Sul Quaternà si profilavano gli uomini, che andavano e venivano lentamente sulla cresta in quell’ora silenziosa di tregua, simili a strani insetti, diafani e tremuli nelle rifrazioni della distanza. Vedevamo il rovescio delle nostre posizioni, il formicaio bizzarro degli accampa-