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nella valle di sexten 215


tiene a nessuno; è una breve zona neutra, che da una parte o dall’altra si scala per assalirsi. Le trincee italiane e quelle austriache non sono lontane fra loro che una settantina di metri. Ogni tanto qualche esploratore striscia ad affacciarsi cautamente sulla vetta per vedere quello che il nemico, pochi passi più in giù, stia facendo. Se è scorto, si ode una salva di fucilate; la vedetta urla un’ingiuria e si lascia scivolare indietro, fra i suoi. Alla notte, il vivido raggio dei proiettori contorna l’altura, che si disegna nera e netta sul chiarore bianco come in un crepuscolo lunare.

La più attenta osservazione attraverso i binocoli non ci lasciava sorprendere alcun movimento sul Seikofel. Nessuna vita sulla terra sconvolta e sterilita di quella vetta, verso la quale sfuma il nero della foresta. Gli alberi hanno protetto il nostro assalto, come sul Salubio. I nostri sono saliti nella loro ombra, da tronco a tronco, ricacciando il nemico a passo a passo.

Non potendo abbattere la selva, nella quale i nostri movimenti si celano, gli austriaci tentano ora d’incendiarla. Aspettano che il vento spiri dal nord, e mettono il fuoco ai roveti. Le fiamme salgono, gli alberi resinosi ardono, colonne di fumo denso si abbattono sulla vallata. Ma l’incendio non si propaga mai. Divampa, poi langue, s’estingue, e per giorni e giorni dei diafani nembi azzurrastri si levano a vo-