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nella valle di sexten 211


sembrata ampia e dolce, fra quei suoi monti che, sebbene scoscesi, hanno le forme che abbiamo sempre visto ai monti. Vi sono cime rocciose, dalle pareti a picco, coronate di guglie, spaccate da canaloni, ma sono lontane, esse non serrano la valle, non vi precipitano le linee vertiginose dei loro speroni. I massicci più aspri si discostano fra loro e lasciano respirare la vallata fra verdi ondulazioni di propaggini.

A settentrione e ad occidente il vecchio confine passa sopra il dorso di quei massicci, corre sopra la seghettatura delle loro creste biancheggianti di nevi, alle quali arrivano, in cerca di forcelle e di selle, i sentieri che costituiscono i valichi secondari. In fondo alla valle fugge il nastro bianco della strada maestra. La prima azione si diresse alla conquista dei valichi. Per avere i valichi bisognava avere le vette che li dominano. Fu una corsa alle rocce.

Noi, puntando verso Sexten, prendemmo il Monte Croce di Comelico, e poi la Croda Rossa, e poi la Cima Undici, preparando l’avanzata nella valle nemica, mentre gli austriaci, più ad occidente, si aggrampano al confine, sulla cresta del Monte Cavallin, come l’abbiamo visto aggrampato sul Monte Piana sopra a Misurina. Lentamente la nostra conquista è penetrata nella valle di Sexten.

Al di là della frontiera vi è una di quelle alture che le sinuosità della valle pongono come a sbarramento e che chiudono la prospettiva.