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206 | nella conca d'ampezzo |
scenze che disegnavano la sommità d’ogni balza, d’ogni strato, d’ogni asperità, celassero appostamenti e ricoverassero cannoni puntati.
Lassù da due giorni la temperatura è scesa a dieci gradi sotto zero. Il Comando aveva provveduto al cambio delle truppe che occupano le vette. Sono quasi tre mesi che vivono in quell’inverno, fra le tormente, in mezzo a fatiche, pericoli e privazioni inenarrabili, ricoverate nei crepacci della roccia. Ma quando l’ordine di prepararsi a scendere è arrivato, quelle truppe hanno rispettosamente pregato il Comando, per la voce dei loro ufficiali, di lasciarle sulla montagna.
«Noi, oramai siamo abituati al freddo e alla vita delle vette — dicono — noi abbiamo imparato a combattere questa guerra, abbiamo scoperto i sentieri o li abbiamo creati, sappiamo da dove si può salire, da dove si può passare, conosciamo il nemico, e a truppe nuove non è facile imparare presto tutte queste cose». E per paura di non essere ascoltati, qualche reparto si è rivolto per lettera al Comando Supremo.
Ecco degli uomini che da tre mesi vivono in un inferno di sofferenze, che rischiano la vita niente altro che per camminare, che quando riposano si tengono ammassati a gruppi su sporgenze larghe tre passi fra una parete e un abisso, senza vedere altro che rocce e neve,