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186 | sulle vette dell'alto agordino |
quassù. Si compiono come se si fossero fatte
sempre.
Si incontra un professore soldato che conduce il carretto con la perizia di un vetturino, s’incontra un avvocato richiamato che taglia alberi nella selva, e appaiono pienamente soddisfatti delle loro nuove occupazioni. La guerra che ai lontani sembra piena soltanto di immagini di morte, è invece una vita più intensa, una vita violenta, semplice, antica.
Sulle pendici più verdi noi vediamo nelle vicinanze di San Pellegrino dei soldati che falciano l’erba. Qualche volta una granata urla, scoppia, e loro falciano l’erba. Poi tornano al campo, dietro agli asinelli carichi di bel fieno fresco e olezzante portando la falce sulla spalla, e canticchiando, il cappello di traverso, la pipa fra i denti. Si accumulano foraggi per le mucche, che pascolano più in basso, più al sicuro, guardate da un guerriero mandriano, e sembrano insetti chiari e immobili sul velluto dell’erba.
Quando verrà l’inverno, che già si annunzia con le sue brezze gelate, la neve si adagerà per uno spessore di sei, di sette metri, su tutte queste balze, e gli accampamenti sepolti non avranno più per lunghi mesi alcuna comunicazione col mondo. A questo sverno polare ci si prepara; si abbattono alberi, delle segherie si impiantano al salto dei burroni, delle tabià ingegnose sorgono. Muratori, carpentieri, fale-