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sulle vette dell'alto agordino | 185 |
non per la vittoria, sulla disciplina meravigliosa
che è fatta dall’unità del pensiero, dal
tacito accordo delle volontà, da una solidarietà
fraterna. Si prova ritegno a dirne, perchè si
ha come un vago timore di essere accusati di
esagerazione. La verità pura può sembrare inverosimile
nella sua bellezza a chi è lontano.
Tutta l’Italia palpita di entusiasmo e di fede,
ma il fuoco più ardente è nel cuore dell’esercito.
Avviene spesso chi soldati malati rifiutino di darsi malati. Debbono gli ufficiali vigilare, informarsi, riconoscerli, andarli a togliere da lavori faticosi: «Tu hai la febbre, ritirati, vai all’infermeria». — «Signor no, non è niente, passerà!». Così i miracoli si compiono. Non vi è sacrificio, non vi è difficoltà, non vi è ostacolo, avanti al quale il nostro soldato si fermi.
Le più grandi difficoltà erano opposte dalla montagna, e in qualche zona sono le fanterie che le superano. S’incontrano bersaglieri romani e fucilieri fiorentini, che non avevano mai salito un monte, operare alle altitudini del camoscio, lietamente, senza una indecisione, facendo comparire strade e sentieri dietro ai loro passi, verso l’inaccessibile. E sull’inaccessibile, l’alpino. Tutto ciò è straordinario, ma è impossibile ridire invece l’aria di naturalezza e di consuetudine che queste cose assumono