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sulle vette dell'alto agordino | 181 |
tirandosi, ed ora bombardano le macerie. Rimangono
dei muricciuoli bianchi a disegnare
il basamento degli edifici, e uno sgretolamento
di pietre. Le fondamenta delle tabià bruciate
disegnano sul velluto dell’erba tanti quadratini
chiari, come dei minuscoli recinti. Poco
più lontano in un laghetto calmo dorme il riflesso
verde e profondo delle pendici.
A perdita d’occhio, nessuno. La valle abbandonata, solitaria, è di una tristezza indicibile. È piena di una cupa desolazione. Osservandola bene, si scoprono dei solchi sottili che la percorrono e la traversano, serpeggiando neri fino alle pendici. La vita che resta nella valle passa in quei solchi, invisibile. Sono sentieri affossati, passaggi coperti, trincee d’incamminamento, labirinti scavati dalla guerra e che fanno pensare all’opera di strani animali da tana. Di tanto in tanto, due, tre colpi di cannone. Vengono dal basso, vengono dall’alto, da artiglierie in agguato che si cercano. Qualche nuvoletta si forma, e il rimbombo lungamente percorre la valle.
È anche qui il tiro a granata sull’uomo isolato, tiro inutile ma perseverante. Al mattino gli austriaci hanno la luce in faccia, non vedono niente e stanno zitti; ma verso mezzogiorno i loro osservatori, alti sui picchi, cominciano a cercare, e per un mulo bombardano. Quando la nebbia benda le cime, si fa riposo.