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168 | fra i torrioni delle dolomiti |
nali e violente, una voce apocalittica. Dopo
l’Averau, le alti pareti del Nuvolau rombavano,
con oscillazioni fuggenti nel suono profondo.
Quando si acquietavano le vette vicine, si udivano
lontano brontolare ancora le balze del
Busella.
Per qualche tempo l’ascensione dell’ultimo tratto ci ha chiuso ogni vista con un paesaggio di macigni. Pareva di salire il gradino di un girone dantesco. Arrivati al rifugio ci siamo affacciati sopra un panorama di orrore, sopra un mondo inverosimile, tutto muraglie titaniche, tutto picchi, tutto cuspidi, affascinante, spaventoso, sublime, solcato da abissi, tagliato da canaloni angusti come corridoi, chiusi fra pareti immense, un mondo privo di terra, privo di vita, fatto di pietra nuda, foggiata in una convulsione di forme soprannaturali, senza declivi, senza una curva, angolose, strapiombanti, vertiginose: il paesaggio delle Tofane.
Quale terribile terreno di guerra questo incubo di rocce! La torre dell’Averau non era che un’avanguardia. Tutte le montagne qui sono torri, sfaldatesi lentamente in miriadi di secoli, torri che accendono le loro guglie oltre i tremila metri nello splendore luminoso delle terse altitudini gelate del mondo, e che precipitano i loro speroni a picco in voragini che il sole non tocca mai fino al fondo.
Sono moli prodigiose, striate di rosa e di grigio, alle quali la regolarità delle stratifica-