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fra i torrioni delle dolomiti 167


direbbe che ne rovescino dei cesti. Anche le mine aeree sono entrate in azione. I nostri, con un colpo di mano, sono riusciti una volta a portar via un lanciamine e a fare dei prigionieri.

La situazione su quella vetta, a 2400 metri, è così bizzarra che un giorno un colpo di cannone ci ha portato un prigioniero. Una granata nostra ha demolito un angolo di una trincea austriaca, e l’angolo è franato giù fino alla trincea italiana trascinando nel terriccio e fra i sassi del parapetto crollato un soldato tedesco, tutto stordito e impolverato.


Mentre contemplavamo questo straordinario campo d’azione, il vallone di Andraz risuonava lungamente di cannonate, che acquistavano fra le falde dei monti e per le gole una sonorità fantastica. Ad ogni colpo la montagna faceva un commento senza fine. Lo ripeteva, e lo ripeteva, lo lanciava e lo riprendeva, dandogli la continuità di uno scroscio immane.

Poi una batteria non lontana da noi ha aperto il fuoco, e la torre titanica dell’Averau ha urlato. Era un effetto d’echi di una grandiosità paurosa. Dopo l’esplosione, metallica e violenta, passava qualche istante di silenzio, e improvvisamente la roccia, dall’altra parte, tuonava. Pareva qualche cosa di viva quel ruggito, pareva la vera voce di quegli smisurati giganti di pietra, che hanno forme così perso-