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prefazione xv


grido della italianità assassinata oltre la frontiera, rassegnandoci, acquiescendo, dimostravamo la nostra volontà di pace. E il nemico lavorava.

Erigeva fortezze su fortezze, sbarrava ogni valico, costruiva reti sterminate di strade militari per unire le valli, per raggiungere delle vette dove appostamenti di artiglieria pesanti, già preparati, dominavano tutti i nostri vecchi forti. Ad ogni nodo di viabilità, caserme nuove, ospedali, depositi di munizioni, di viveri, di carri, di slitte, panifici elettrici capaci di nutrire intere divisioni. Si era pensato persino all’acqua sulle strade della montagna, dove ogni due o tre chilometri mormora una fonte per la beverata. Vasti campi trincerati erano pronti. Nelle più selvagge vallate potrebbero ora vivere, spostarsi e agire masse di armati. Persino sulle più alte cime, sulle rocce nude, sulle distese candide dei ghiacciai, capanne, ricoveri, rifugi alpini, alberghi, costruiti apparentemente per un improvviso furore sportivo, si sono rivelati ora per posti di vedetta, basi di avanguardie, caserme, tutto un sistema di edifici eretti in posizioni strategiche, destinati a mantenere in ogni stagione il dominio dell’alta montagna.

La Nazione ignorava la realtà nelle sue vere proporzioni, quella realtà che angosciava, le au-