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fra i torrioni delle dolomiti 161


ro di rocce sgretolate, che sale al passo dell’Averau, avevamo l’illusione di vedere il Col di Lana vicinissimo, sotto a noi, illuminato in pieno dal sole mattutino. Vedevamo distintamente le trincee, i passaggi coperti, le blindature. Le posizioni nostre e quelle del nemico sono ad una ottantina di metri.

Non si ha idea di queste trincee che rampano sul declivio scosceso, di questo attacco millimetrico che si attacca con gli artigli alle falde della montagna che scava. Non si spara più, non si può più sparare il fucile. Il dislivello precipitoso copre gli uni e gli altri. Si combatte a furia di granate a mano.


Il monte non è roccioso, ma ha la linea ardita di un cono, e sulla sua sommità un’erba povera e grama verdeggia. Non è sulla estrema aguzza vetta che si combatte. Dalla vetta scendono due costoni, che, poco sotto alla cima, avanzano ognuno una specie di gobba, ad altezze diverse. Su queste due gobbe gli austriaci hanno scavato due ridotte, munite di blindature a terrapieno, con delle trincee così profonde che sembrano spaccature. Nell’ombra di questi solchi nulla si muove. Gli uomini sono affossati nel buio. Noi vedevamo dall’alto e di scorcio queste posizioni, e avevamo l’impressione di un allineamento di fosse regolari colme d’oscurità.

Intorno l’erba è scomparsa. Il suolo rossic-