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158 fra i torrioni delle dolomiti


mense onde di pietra dalle creste frastagliate e in ombra, lambite appena sul fianco dal sole, diafane e di un colore glauco di acque, con sollevamenti fluidi di costoni cilestrini, una sterminata evanescenza di forme gigantesche nelle quali non si riconosceva più l’eterna immobilità poderosa della roccia. Sulle onde, dei marosi più alti, un irrompere di masse sublimi: il Pelmo dominatore e nobile, un signore dei monti, il Civetta seghettato e strano, le Pale di San Martino più lontane, una furia di guglie turchine, e ad occidente il Marmolada solenne, sul quale i ghiacciai accumulano nevicate di millenni nel loro spessore ovattato. Ghiacciai e nevai chiazzano di candore l’azzurro delle vette ed hanno una mollezza di nubi rapprese fra le cime, di nubi adagiate e immobili.

A mano a mano che, isolatamente per non essere scorti dalle vedette nemiche, salivamo le ultime rampe del passo dell’Averau, scoprivamo alla nostra sinistra l’angusta e vicina valle d’Andraz, al di là della quale il famoso Col di Lana pareva salire con noi, oltre un costone dell’Averau, mostrandoci prima la sua cima nuda, poi le sue falde boscose, poi i suoi declivî più bassi immersi nell’ombra. Sul Col di Lana il combattimento è continuo. Anzi, è il solo punto di questa zona nel quale la battaglia abbia assunto un carattere regolare, sistematico, continuativo.