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144 una maestosa battaglia di fortezze


no più che a cinquanta metri dalla fila avanzata dell’attacco. Dietro ad ogni cespuglio si aggruppavano minuscoli grappoli d’uomini accoccolati. Ogni movimento pareva sospeso. Non un colpo di fucile, non una voce. I minuti sembravano eterni.

Improvvisamente, uno strepito di fucilate, uno scoppio sonoro di cannonate, nembi di fumo sulle trincee, poi un formicolìo confuso verso la vetta, un gran grido, lungo, vasto l’urlo poderoso dell’assalto, simile ad un lamento di bufera, e sul profilo della cresta si è formato un granulamento ondeggiante e vago. La montagna era presa.

La difendeva una compagnia munita di mitragliatrici. Pareva inconquistabile. Ma la sorpresa ha sgomentato il nemico. È stato sopraffatto dal panico alla vista degli assalitori così vicini, contro i quali ha sparato con tanta concitazione da non causare che perdite infime. Alcuni colpi di cannoni da montagna, appostati vicino, lo hanno deciso definitivamente alla fuga.

La compagnia austriaca ha lasciato indietro cinque uomini con l’incarico, piuttosto sproporzionato, di trattenere gl’italiani in caso d’inseguimento. I cinque uomini si sono naturalmente arresi. Più tardi — era quasi notte — gli austriaci, non udendo più niente, hanno distaccato altri sei soldati per andare a vedere che cosa era successo dei cinque. E lo hanno