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tra le balze dell’adige 127


delle alture, avanza le sue case più nuove verso l’Adige: è la prima città austriaca, Ala.

Ha un’aria raccolta e antica, con un’impronta così profondamente nostrana che pare di averla conosciuta già, di ritrovarla vagamente nella memoria insieme al ricordo di qualche vallata del Friuli. Nulla di più italiano di quei vecchi palazzi d’Ala, di una nobiltà provinciale, di un’arte modesta e pura, nel cui interno verdi specchiere di Venezia riflettono nel loro pallore di sogno delle grazie settecentesche. La parte alta, inerpicandosi sul monte, diviene rustica, e le stradine che salgono tortuose sono fiancheggiate da casupole montanare, tutte a balconate di legno annerite dal tempo. Attaccate ai muri, presso alle porte, le rozze slitte aspettano l’inverno; sulle logge è tutto un festoso verdeggiare di fascine fresche che seccano al sole; da soglia a soglia passa un dialogo veneto di comari.

Ad Ala avvenne l’unica opposizione austriaca alla nostra avanzata. Fu piccola, breve, ma arrivò di sorpresa. La città pareva completamente abbandonata dal nemico.

Prima di ritirarsi i gendarmi austriaci avevano affisso manifesti che minacciavano severe e imprecise punizioni a chiunque avesse osato di fare buona accoglienza agli italiani, e avevano ripetuto a tutti che gl’italiani si sarebbero abbandonati ad ogni eccesso. Da giorni i negozi erano chiusi, e la città silenziosa aspettava